lunedì 30 gennaio 2012

La mia Libertà, che dorme nei campi coltivati delle Filippine



La prima volta che l'ho incontrata Joy cantava e ballava provocante, con un piglio di nervosa tristezza e dolorosa spensieratezza. A tratti la voce, tenace e impostata, fletteva quando le lacrime provavano a scorrere. La passione con cui cantava sembrava riportarla a un tempo talmente remoto da rilanciarla improvvisamente nel presente con lo sguardo sperduto e intimorito di chi non sa dove si trova e perchè.
 Quasi a ridere le domando, già conoscendo la risposta: “Perchè sei qui Joy?” - e lei, grattandosi la testa, un po' impacciata, un poco intimidita, mi sorride nervosamente: “ehhh!”. Sembra non aver afferrato la domanda. Allora tento ancora: “Da quanto tempo sei qui?” - “Un anno e tre mesi” risponde stavolta sicura. “E la sentenza è già stata emessa?” - torna a grattarsi la testa, si guarda attorno, sorride come i piccoli che sanno d'aver commesso marachelle ma con gli occhi hanno già chiesto perdono, poi mi ripete due volte velocemente come se rompesse un incantesimo: “non lo so. Non lo so a che punto è il processo. Ritardano sempre!”.
 Sì ritardano sempre le sentenze per chi non sa come pagare avvocati e processi. La maggior parte delle detenute del carcere di Bacolod è da anni (anche dieci!) in attesa di giudizio per reati di droga. Joy è dentro invece per consumo.
Nonostante la spigliatezza di bambina che suscita risa in chi la guarda, Joy è estremamente insicura. Mi domanda: “Che ne pensi della mia voce?”- “Magnifica!” - le rispondo semplicemente, mentre vorrei aggiungere altro. Le emozioni spesso non hanno formula. Di professione lei cantava a El Camino, uno dei famosi risto-bar di Bacolod.
A Joy piace la mia poesia tatuata sul braccio sinistro e la confronta con il suo tatoo: un pugnale sul cuore, con il nome dell'ex fidanzato, sullo stesso braccio. Le domando il motivo di quel tatuaggio e mi risponde con un riso dolce amaro: “Io sono un cuore rotto!” (traduzione letterale dall'inglese :”I'm broken heart”). Non dice “ho il cuore spezzato”, ma “sono un cuore rotto”. Io provo a spiegarle che non dovremmo mai incidere sulla pelle un nome che tanto prima o poi perderemo per sempre, ma lei sorride, ammette che ho ragione come si fa con una donna anziana petulante, e chiama B-boy, il suo fidanzato dall'altra parte.
L’altra parte è il braccio maschile della prigione, separato da quello femminile da una piccola striscia di terra; molte detenute hanno un fidanzato con cui comunicano a voce, dall'altra parte. E sebbene io rida di questo, provi a spiegare che è ridicolo legarsi a qualcuno in quella situazione e prenda in giro Joy, lei non se ne cura: “io non posso vivere senza lui!”, mi azzittisce.
La sua performance è stata assai struggente davanti ad alcuni visitatori australiani del Rotary Club.  Joy ha cantato due canzoni e in quei pochi minuti la violenza dei pensieri è stata tale da avere un impatto devastante sul mio corpo. Somatizzazione la chiamano i tecnici.
Senza sequenza ho pensato: è uno zoo o una prigione?, quei vecchi le guardano, e chissà cosa pensano!, non rivolgono loro la parola; portano la merendina mentre loro sono grassi come maiali; ci tengono a sottolineare che sono single e infatti nelle Filippine gli unici bianchi che girano sono anziani accompagnati da bellissime giovani donne, turismo sessuale, voglia d'amore a settant'anni, badanti? E poi: non ne posso più della  ricchezza di qualsiasi genere essa sia. Mi dà la nausea ed io certe volte mi nauseo da sola. Io la beneficenza la contesto, serve solo a pulire la coscienza.
 I miei pensieri hanno poi preso la “via della Filosofia”: “ma tu perchè vieni qui?” è la domanda perplessa che mi rivolgono le donne. E come spiegare un paradosso? L'eccesso di libertà porta alla prigione, ho realizzato. Quanti muri impediscono il fluire dell’anima in direzioni non convenzionali: la legge, i dogmi, l'abitudine, le opinioni degli altri, le idee degli altri, le aspettative degli altri ecc. Ecc.
 Abbiamo forse bisogno di tutto questo per provare a noi stessi che siamo liberi di stare dentro o stare fuori? Perchè spendiamo la vita a costruire mura o permettiamo agli “altri” di erigerle in modo da consumarci nel tentativo di abbatterle? In effetti, quelle degli altri, possiamo solo scavalcarle, ma almeno evitassimo noi di tirarle su!
La libertà, concludo, è una lenta conquista, come il tempo, frutto di discernimento faticoso e ricerca incessante. Talvolta sì, ho bisogno delle prigioni per sentirmi libera. Lì dentro provo ad essere me stessa, al sicuro, qui fuori ho paura e mi sento sola. Non mi consolo dal momento che io ho conosciuto un uomo che davvero era Libero nel cuore e nell’anima, libero dalla legge, dai costumi sociali, dalle tradizioni, un uomo che nella sua libertà si è preso cura delle schiavitù di ogni genere: egoismo, indifferenza, senso di colpa, paura, ansia, depressione. Un uomo COERENTE con i suoi principi di libertà, nonostante si sia provato nei secoli a chiuderlo dentro la prigione di una religione.
Allora mi ritrovo ad attendere una libertà senza tempo che non ha bisogno di un tempo libero e provo, nella mia piccolezza, a circondarmi di esempi virtuosi, al caldo delle mie prigioni!

Libertà significa provare:
i sogni, le idee, la parola.
Chi non sogna ogni giorno,
chi non realizza un’idea,
chi non cambia se stesso,
non sarà mai libero.

Roland Breitenbach, “Il piccolo vescovo”


domenica 22 gennaio 2012

IL MONDO di Juan Rodolfo Wilcock

Come sei puro e delicato, o mondo!,
con paesaggi notturni e con aurore,
con giornate e con sere riposate,
austero e pieno di un ardore fecondo.

Come sei vasto, apatico e profondo;
con che rigore accogli i nostri sguardi,
e ignori le parole pronunciate
da una bocca che cambia in un secondo!

Nulla diranno che possa commuoverti;
nulla alle stelle può recare danno,
abituate a guardare la stessa morte

che l’uomo attiva e ignaro incoraggia
sperperando i suoi fuochi in vani alterchi
e facendo una vita turbolenta.

mercoledì 11 gennaio 2012

Chi rompe ad inizio anno...?...e chi sorride?

Qualche giorno fa, per sbadataggine e frettolosità, ho fatto cadere l'hard disk portatile. Dopo aver  emesso l'ultimo bit, è spirato in pace (PATAI, in illongo)[1]. C'erano anni di vita là dentro, foto, canzoni, scritti...
La prima reazione è stato di sconforto, totale, a cui è seguita una desolazione profonda.

In breve mi sono ritrovata in macchina a guidare, circondata da paesaggi intensamenti colorati, mentre i miei due passeggeri cantavano canzoni stonate in allegria. Era difficile in quel momento  prendere parte IN quell'allegria, la mia mente stava ancora ripercorrendo a rallenty il momento del tragico avvenimento. Durante quella mezz'ora di guida, continuavo a domandarmi tuttavia DI quell'allegria, perchè io non ero così allegra e loro sì? perchè io non sorridevo e gli altri sì, cosa mancava a me, proprio in quel momento, che loro invece avessero?

Dispiacere a parte, ho realizzato con lentezza ma fermamente in questi giorni, di non aver perso nulla di così grande che non possa essere in qualche modo recuperato (o anche no!): ho perso  tutte le cose (e non le emozioni, i sentimenti provati, le persone incontrate lungo il cammino), che avevo accumulato e depositato per essere sfogliate forse mai. E le avevo accumulate, pensate un po'!, in un fragilissimo e ormai obsoleto apparecchietto elettronico[2].

Il guadagno della rottura invece è stato fondamentale e inestimabile (talvolta le rotture nette servono e tanto): ho ri-guadagnato il presente. Sono tornata a qui ed ora, ai sensi molteplici di questo viaggio, al coraggio delle scelte, al valore della perseveranza se fondata su una inappagabile e genuina ricerca,  all'importanza di affrontare le difficoltà con umiltà dal momento che la sofferenza è talvolta un mistero che non va capito ma accettato.
E, last but non least, sono oramai certa che il tempo ha valore solo se condiviso (CUMPARTIR in spagnolo, che rende meglio il concetto delle cose che non vanno accumulate ma divise, spartite, partecipate!) e dal momento che “il presente è l'unico tempo che ci è dato di vivere”, questo è quanto mi accade[3].

Avevi ragione caro amico Giovanni “Non è il luogo che fa la persona, ma la persona che fa il luogo”... solo in parte!:

Per giungere a ciò che non sai,
devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai,
devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei,
devi passare per dove ora non sei.
                                    Giovanni della Croce

Nota: Il 2012 mi ha già vista sorridere per il nuovo/a nipote che arriverà, per il mio amico Matteo che  vestirà finalmente la sua tuta rossa (di pompiere che getta acqua sul fuoco e non viceversa!), per Erjona che ha riniziato a volare, per mio fratello Giovanni che dimagrisce per amore (?), per Gabriele, amico perso di vista e ritrovato sempre più bello nella nuova avventura insieme a Cristiano e per molti altri di cui non so molto, ma per cui spero il nuovo anno sia iniziato con un sorriso...







[1]          Il computer è sul letto di morte già da mesi e mi permette di buttare giù pensieri a metà, proprio così è il mio schermo! 
[2]          “L'inutile indebolisce il necessario”, recita la maglia, regalo di una cara amica.
[3]    Madre, provvederò ad inviarti quanto prima quel poco che ho salvato!

giovedì 5 gennaio 2012

ERNESTO BALDUCCI

 
“Di tanto in tanto mi capitava di scendere dal letto,
al suono della campanella,
per osservare nel buio accendersi una dopo l’altra le minuscole finestre delle celle e poi spegnersi. 

 


Ora mi spiego il fascino di quello spettacolo notturno che mi godevo da solo, quasi furtivamente. 



 



Era come se mi affacciassi all’altro versante della vita, dove il tempo ha ritmi diversi dal nostro; 



                                


 

       
è un tempo inutile,
   è il tempo dell’ESSERE,
il tempo che gira su se stesso con il passo di danza,
e non si cura del nostro   che è il tempo dell’esistere.
         


Potrei dire che io, da quella finestra non mi sono mai mosso”.